Un po’ di dati sulla ristorazione
La ristorazione italiana sta vivendo una fase di trasformazione radicale. Da un lato i numeri confermano la forza del comparto con 251 miliardi di euro di valore globale nel 2024 e con la ristorazione italiana che da sola rappresenta il 19% del mercato mondiale dei ristoranti con servizio al tavolo (Deloitte Foodservice Market Monitor 2025). Dall’altro lato emerge un quadro fatto di chiusure, polarizzazione e di un cambiamento strutturale.
Infatti, solo nel 2024 hanno abbassato la serranda 19mila locali (dati Fortune), il peggior bilancio dell’ultimo decennio. E non è certo colpa della domanda perché la spesa fuori casa cresce, superando gli 89,6 miliardi già nel 2023. Il problema è altrove, bisogna guardare a: mancanza di gestione manageriale, poca promozione, incapacità di trasformarsi da ristorante a vera e propria azienda rimando la classica impresa familiare.
La polarizzazione del settore ristorativo
Le catene e i fondi internazionali stanno letteralmente conquistando le quote di mercato, offrendo stipendi migliori, benefit e percorsi di carriera strutturati… tutti elementi che attirano i lavoratori qualificati. In un settore dove ormai “è il dipendente bravo che sceglie dove andare”, come osserva Stefano Visconti, il ristorante indipendente rischia di restare senza staff e schiacciato.
In parallelo cresce il segmento dei Quick Service Restaurant (QSR), che negli ultimi cinque anni ha segnato una crescita media del +13,3% annuo. L’andamento è chiaro, ciò che sta funzionando è efficiente, scalabilile e digitalizzato.
Allo stesso tempo, però, resiste – e resisterà – l’altra faccia del mercato, quella dell’esperienza, sia dei dipendenti ma anche quella che si da al commensale. Chef e camerieri ben pagati, in grado di stupire e creare valore aggiunto, continueranno a esistere. Ma anche questo modello dovrà inevitabilmente efficientarsi, snellire le operationi e adottare automazioni per non soffocare nei costi.
E che dire, sicuramente coloro che avranno delle grosse difficoltà sono i ristoranti indipendenti che decidono di non cambiare la loro gestione aziendale.
Cambiamenti nei comportamenti dei consumatori e della
ristorazione
Secondo le analisi di Circana presentate all’European Foodservice Summit 2025, la ristorazione europea mostra nuove tendenze comportamentali post-pandemia:
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Cene solitarie in aumento: la spesa per tavoli singoli è cresciuta del +153% tra il 2010 e il 2019 e oggi rappresenta il 15,6% delle visite ai ristoranti full-service, contro il 9,4% del 2016. Questo fenomeno è legato a stili di vita urbani, lavoro ibrido e caffè digital-first.
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Spesa maggiore ma meno visite: tra giugno 2019 e giugno 2025 la spesa complessiva per la ristorazione è aumentata del 10%, mentre il numero totale delle presenze resta il 10% sotto i livelli pre-pandemia.
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Delivery in forte crescita: due terzi delle occasioni di delivery ora sostituiscono la cucina casalinga, con aggregatori come Uber Eats, Deliveroo e Just Eat che hanno quasi quadruplicato la loro quota di mercato in Europa dal 2016 (oggi 3,7% delle presenze totali).
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Socialità resistente: gli appuntamenti collettivi (apericene, cene tra amici) rappresentano il 31% di tutte le presenze, in aumento rispetto al 29,8% del 2021.
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Consumi più attenti e diversificati: diminuzione del 7% nel consumo di alcolici e aumento di alternative analcoliche (+2%), con maggiore attenzione a salute e sostenibilità.

Il bivio, due modelli di ristorazione del futuro
Il futuro della ristorazione sembra dunque dividersi in due strade:
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Ristorazione ingegnerizzata: automazione, piatti prelavorati, cucine centralizzate, quarta e quinta gamma, personale non qualificato preso anche da altri settori. Tanto il lavoro è standardizzato, non c’è bisogno di Chef, Souf Chef, aiuto cuoco ecc…
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Ristorazione esperienziale: esperienza del cliente, creatività, stupore, staff formato e retribuito, con però un obbligo crescente di organizzarsi come aziende vere e proprie.
In entrambi i casi la direzione è una… NIENTE più turni disumani, NIENTE più 7/7, NIENTE paghe misere e nero.
Una domanda rimane però aperta
Il paradosso è che ciò che sta accadendo nella ristorazione non è diverso da altri settori dove i talenti rari – che siano sviluppatori, designer o cuochi – scelgono ormai dove lavorare, e vengono coccolati con benefit, stipendi e garanzie.
Il punto è: queste due strade saranno sufficienti per tenere in piedi il settore? Oppure dovremmo immaginare modelli diversi?
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