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Natale SlowFood: i Presidi da non perdere!

Mancano pochi giorni a Natale, una delle festività più attese dell’anno. Un momento da trascorrere in compagnia che, solitamente, coincide con un aumento vertiginoso delle prenotazioni al ristorante.

Sempre più persone, infatti, preferiscono delegare l’onere della preparazione del pranzo natalizio ad un cuoco professionista piuttosto che cimentarsi ai fornelli come, invece, accadeva un tempo. Per un cuoco, dunque, il Natale può diventare un momento fondamentale per “far quadrare i conti”.

Natale 2022: vince la tradizione con SlowFood

Tuttavia, per sfruttare al meglio l’occasione è necessario pensare ad un menù originale, che riesca a stupire e al contempo soddisfare il palato dei golosi avventori, alimentandone la curiosità e la cultura.

È proprio quest’ultima, infatti, a fare la differenza a tavola, convertendo in via definitiva il nostro pubblico da passivo ad attivo, fino a renderlo il miglior ambasciatore del nostro brand. La selezione degli ingredienti da adoperare nel tuo menù, quindi, deve partire anche da questo principio.

E rifarsi alla tradizione – seppur magari sotto un’altra veste – è sempre una buona idea! Tra i prodotti che, più di tutti, esprimono l’identità di un popolo spiccano i Presidi SlowFood, nati con l’obiettivo di salvaguardare antiche pratiche e conoscenze.

Di seguito, ti proponiamo una selezione dei presidi più ricercati che, sicuramente, amerai.

I Presidi SlowFood su cui puntare

Fagiolo Antico di san Quirino

Erano i primi anni dell’Ottocento e a San Quirino, piccolo centro del Pordenonese, già si coltivavano fagioli, fave e lenticchie; fonti proteiche preziose, soprattutto in tempi di carestia, che garantivano il sostentamento di molte famiglie. Colture che, col passare del tempo, sono state gradualmente abbandonate, a favore di altre più redditizie, come il mais e la soia.

Tuttavia, grazie all’impegno di alcuni, sono state – letteralmente – riportate alla luce. Tra queste, anche un’antica varietà di fagiolo – denominato, appunto, Fagiolo di San Quirino e oggi inserito nell’élite dei Presidi SlowFood.

I semi vengono interrati tra la seconda decade di Aprile e gli inizi di Giugno – nelle lande polverose de “I Magredi”mentre il raccolto avviene a partire da metà Luglio. Dopo essere stati colti, ed essiccati per un periodo al sole, vengono sgranati a mano, con grande delicatezza.

A rendere il Fagiolo di San Quirino apprezzato anche in Alta Cucina, sono la sua buccia sottilissima di colore marrone chiaro e la sua la polpa fine e compatta, che lo rendono particolarmente adatto ad essere utilizzato come ingrediente nella preparazione di creme e zuppe.

Dal fagiolo, è possibile poi ricavare una straordinaria farina, perfetta tanto per panificati quanto per la realizzazione di altri alimenti secchi, come i Tagliolini alla farina di Fagioli di San Quirino, che sono ottimi conditi con funghi porcini e speck.

Broccoletto di Custoza

Secondo la letteratura, il Broccoletto di Custoza apparve per la prima volta sulle Colline Veronesi agli inizi del 900′, quando rappresentava una coltura di recupero, di terreni aridi e “sassosi”, altrimenti incolti.

Oggi, grazie al lavoro – e all’impegno – di contadini come Policarpo Forante e Italo Pachera, lo ritroviamo negli orti oppure tra le viti, che ormai caratterizzano la maggior parte del paesaggio.Si tratta di una pianta di dimensioni medio-piccole, con foglia allungata, espansa ed estremamente sottile.

A differenza di altri ortaggi appartenenti alla famiglia delle Crucifere, il Broccoletto di Custoza non sviluppa il tipico panetto fiorale, ma solamente un piccolo – e distintivo – cuore di foglie centrale.

È apprezzato sulla tavola per il suo gusto dolce e caratteristico, che ben si abbina a bolliti, salumi e formaggi a media-stagionatura.
Viene raccolto a mano, da Novembre a Febbraio, e attualmente sono solo 8 le aziende che lo producono.
La versione agrodolce è ideale per dar luogo a degli aperitivi casalinghi ricchi di gusto.

Pestat di Fagagna

Un tempo, nel piccolo borgo di Fagagna (UD) era tradizione allevare il maiale, che veniva poi macellato tra i mesi di Novembre e Marzo dai norcini locali. Le carni, lavorate da mani esperte, erano trasformate in salumi ed insaccati e – come si suol dire – nulla era sprecato, neppure il lardo.

Quest’ultimo, infatti, veniva macinato e amalgamato con un trito di sedano, carote e cipolle, nonché con un mix speziato di pepe nero, aglio, prezzemolo, rosmarino e salvia.

Il risultato era un condimento, che poteva essere utilizzato per tutto l’anno come insaporitore di zuppe e primi piatti. Ora, questo particolare insaccato, è conservato in piccoli vasetti in vetro, dotati di capsula richiudibile, che ne semplificano l’utilizzo e aumentano la shelf-life.

Il Pestat di Fagagna è ottimo anche per preparare deliziosi crostini, da arricchire poi con affettati e/o formaggi a media stagionatura.

Pitina di Pecora

Sembra che già nella prima metà dell’800’ fosse in uso fra le genti che abitavano le borgate di Frassaneit, località sita nel comune di Tramonti di Sopra.

Originalmente la Pitina era composta quasi esclusivamente da selvaggina ungulata d’alta montagna – come il capriolo oppure il camoscio – a cui veniva aggiunta, in minima parte, della carne ovina o caprina.

La forma di polpetta è dovuta al fatto che in zone montane non c’erano possibilità di reperire budella per insaccare la carne e quindi conservarla, per cui si era sfruttato questo espediente per sopperire a questa carenza.

La preparazione non richiedeva particolari attrezzature quindi era possibile prepararle ovunque, anche in malghe lontane da centri abitati. Questo succedeva normalmente senza un preciso programma, per cui una capra che si spezzava una zampa, un malessere da parto o l’abbattimento di un camoscio, erano l’occasionale condizione per l’immediata preparazione delle Pitine.

L’animale veniva quindi disossato e la carne triturata finemente nella pestadora – un ceppo di legno incavato. Alla carne si aggiungevano poi sale, aglio e pepe nero.

Con la carne macinata si formavano piccole polpette, si passavano nella farina di mais e si facevano affumicare sulla mensola del focolare bruciando soprattutto legno di pino mugo.

Una volta affumicata, la Pitina poteva resistere per molti mesi e diventava quindi un riferimento nella dieta dei tramontini, dei cacciatori e delle loro famiglie. Un prodotto di sussistenza che oggi può essere servito con una polentina morbida, abbinato a del radicchio in agrodolce oppure affianco a dei formaggi di malga.

L’elenco dei Presidi SlowFood ovviamente non finisce qui e, ogni anno, si arricchisce di nuovi straordinari prodotti. Su Soplaya puoi trovare un’attenta selezione dei presidi più amati, con cui conquistare i tuoi clienti

 

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